venerdì 5 ottobre 2012

Allergia & Cortisonici


Post interlocutorio sulla lunga strada delle allergie...

Per rispondere alla domanda dell'amico Gigi, eccomi ad una breve disamina dei corticosteroidi.

Come ricorderemo tutti tra gli effetti dei cortisonici abbiamo i glucocorticoidi e i mineralcorticoidi. Per ogni singola molecola è rilevabile un'attività farmacologica primaria, e quando è necessario realizzare un trattamento antiinfiammatorio acuto o immunosoppressivo, come nel caso della prevenzione e del trattamento delle reazioni anafilattiche e anafilattoidi, è necessario ricorrere a cortisonici caratterizzati da bassa attività mineralcorticoide e maggiore attività glucocorticoide.

I glucocorticoidi hanno molteplici effetti, alcuni tardivi, altri immediati.

Gli effetti tardivi sono identificati come "genomici" in quanto il meccanismo di azione passa da recettori citoplasmatici per giungere ad interferire con la sintesi dell'RNA messagero, e quindi inibire la sintesi dell'acido arachidonico. Questi effetti si hanno dopo 12-24h dalla prima somministrazione.
Gli effetti immediati sono invece detti  "non-genomici", e necessitano di alti dosaggi; viene inibita la produzione di IL1 e TNFa nei linfociti eosinofili e macrofagi.
Quindi possiedono:
  • Effetti stabilizzanti sulla membrana cellulare
  • Attivazione adrenergica per stimolazione della fenil-etanolamina-N-metiltransferasi
  • Depressione della reazione antigene-anticorpo
  • Inibizione della sensibilizzazione dei b-recettori alle catecolamine
Tra i cortisoni più diffusi distinguiamo (tra parentesi quelli disponibili in fiale o cp tralasciando creme, colliri, supposte, creme vaginali...):

Maggior effetti mineralcorticoide:

Cortisone (Cortone acetato)
Idrocortisone (Solucortef, Flebocortid, Rapicort)

Maggior effetti glucocorticoide :

Betametasone (Celestone, Bentelan, Betametasone,
Desametasone (Decadron, Soldesam, Capital)
Metilprednisolone (Medrol, Urbason, Metilbetasone, Emmetipi, Solumedrol, Depomedrol)
Prednisolone (Deltacortenesol)
Prednisone (Deltacortene, Lodotra)


La Fig.1 mostra il rapporto di potenza riguardo agli effetti genomici tra i vari corticosteroidi, mentre la Fig.2 raffronta la potenza per gli effetti non-genomici.



Naturalmente in presenza di una reazione allergica, oltre agli altri farmaci, è necessaria la sommministrazione di un corticosteroide con elevata attività non-genomica anche se i cortisonici da soli non possono garantire la mancata insorgenza di reazioni allergiche.

Non è ancora stabilita una precisa relazione dose-risposta tra effetti genomici e non genomici dei cortisonici, tuttavia si hanno effetti non-genomici in presenza di dosi equivalenti a oltre 100 mg di prednisone.

Quindi somministrare dosi "basse" per ottenere effetti non genomici è INUTILE.

Se parliamo quindi di effetti glucocorticoidi 15mg di desametasone sono equivalenti a 100mg di prednisone e realizza il legame con la quasi totalità dei recettori citosolici e di membrana; realizza la maggioranza degli effetti genomici e non genomici e possiede un'emivita di 60 ore.

Il metilprednisolone, alla dose unica di 250-500mg è molto efficace per attività non genomica, ma gli stessi non sono ottenuti per dosi inferiori a 250 mg o superiori a 500mg; a questi dosaggi hanno effetti antiinfiammatori e stabilizzanti sulla membrana dei basofili, dei mastociti e dei lisosomi.
la durata è di circa 24 ore dalla somministrazione.

Il betametasone ha una limitata azione non-genomica, e non trova indicazioni come pure l'idrocortisone per la elevata attività mineralcorticoide.

...quindi quando somministrate 40 mg di urbason per una reazione allergica...

Max



giovedì 20 settembre 2012

Allergia & Anestesia? Siamo sicuri di saperne abbastanza? (parte prima)


La risposta per quanto mi riguarda è no! 

Spesso sui cartellini preoperatori alla voce allergie appare una pletora di sostanze più o meno comuni. Tra tutte spicca solitamente la parola "LATTICE" scritta in lettere cubitali con ogni tipo di evidenziazione possibile. Mancano di solito solo le luci stroboscopiche e i neon. Con "graminacee" "pollini" "polvere" si può comprendere il 50-60% delle allergie riportate. Stendiamo un velo pietoso su allergie riportate a varie sostanze, che ulteriormente indagate dall'anestesista in sala operatoria risultano essere " mal di stomaco" "diarrea" "disorientamento" e chi più ne ha più ne scriva. 

Ma siamo sicure che lo stato dell'arte riporti proprio la situazione sopra descritta?
Naturalmente no! (se non che perdo tempo a fare?)

Recentemente è apparso un articolo su di una nota "enciclopedia" che prende in considerazione le reazioni anafilattiche e anafilattoidi in sala operatoria.
Da recenti studi appare che l'incidenza di reazioni anafilattiche in corso di anestesia varia da 1/1250 a 1/13000. Le donne sembrano essere maggiormente a rischio rispetto agli uomini con 154,9 Vs 55 / reazioni su milione di anestesie.

Le sostanze maggiormente implicate sono state in ordine:  
  1. Curari (62,6%)
  2. Lattice (13,8%)
  3. Ipnotici (7,2%)
  4. Antibiotici in profilassi (6%)
  5. Sostituti del plasma (3,17 di cui 91% gelatine)
  6. Morfinici (2,4%)


Nei bambini invece la situazione è leggermente differente.
  1. Lattice (42%)
  2. Curari (32%)
  3. Antibiotici in profilassi (9%)

Inoltre sono considerati ad alto rischio di reazioni nei bambini multioperati (soprattutto al lattice) e in particolare quelli affetti da spina bifida.

Domanda: i curari sono tutti uguali?
No. la classifica riporta
  1. Sulxametonio (39,6%)
  2. Vecuronio (25,5%)
  3. Roncuronio (13,28%)
  4. Atracurio (12,9%)
  5. Pancuronio (6,38%)
  6. Mivacurio (2,05%)
  7. Cisatracurio (0,32%)

In questa classifica dei buoni e dei cattivi bisogna tener conto della più recente commercializzazione di Roncuronio Mivacurio e Cisatracurio e delle relative quote di mercato (!)

A proposito di curari e dintorni. Sembra che il sugammadex non abbia ricevuto l'autorizzazione alla commercializzazione negli Stati Uniti a causa di reazioni di ipersensibilità immediata che potrebbe indurre. Ma da noi no…. "non siamo mica americani…"

Una obiezione potrebbe essere: "i curari liberano istamina, quindi è normale la comparsa di reazioni alla somministrazione"
Il fatto che il 30-70% delle reazioni ai curari avvengano alla prima somministrazione ed esista una differenza di incidenza in popolazioni differenti, fa supporre che possano esistere delle reazioni crociate con altri epitopi con cui gli individui vengono a contatto precedentemente e quindi alla base stia un meccanismo allergico classico.

Breve ricordo (dei bei tempi di immunologia)
Le reazioni di ipersensibilità possono essere mediate da 3 meccanismi:

  • Allergia. Dovute al meccanismo classico di presentazione dell'antigene e reazione al successivo contatto (ipersensibilità immuno-mediata di tipo I secondo Gell e Coombs) (lo ione ammonio nei curari)
  • Istamino liberazione non specifica. Non necessitano di esposizione precedente all'antigene. Non specifica e meno grave delle reazioni allergiche. 
  • Attivazione del complemento & altre vie. Non specifiche e responsabile di reazioni diverse (broncospasmo)


Fattori predisponenti.
  • Sesso ed età
  • Atopia
  • Precedenti reazioni allergiche a farmaci
  • Allergia al lattice.

Nel caso di allegia al lattice indagare anche reazioni di tipo congiuntivite, rinite, asma. Attenzione agli operatori sanitari (esposti), i lavoratori dell'industria che utilizza lattice, e i pazienti che presentano allergia a certi alimenti (Avocado, kiwi, banana, castagna, grano saraceno…) che possono crociera con gli epitopi dell'Hevea brasilensis che possiede circa 250 proteine allergizzanti!


Il resto? alla prossima puntata…..

martedì 21 agosto 2012

Due link utili.
Il primo per avvicinarsi in modo soft all'emodinamica secondo Vigileo e al concetto di SVV (Stroke Volume Variation)

www.youtube.com/hemodynamicmonitor1

Il secondo è un progetto della Società di Anestesia e Terapia Intensiva tedesca sulle malattie rare e l'anestesia

www.orphananesthesia.eu

Buona visione!

sabato 18 agosto 2012

Valutazione cardiaca preoperatoria

Leggere in inglese, mi costa sempre un po' di fatica. Soprattutto argomenti complessi. Ho trovato le linee guida per la valutazione preoperatoria del rischio cardiaco e la gestione perioperatoria del paziente cardiopatico nella chirurgia non cardiaca
Task Force per la Valutazione Preoperatoria del Rischio Cardiaco e la Gestione Perioperatoria del Paziente Cardiopatico nella Chirurgia Non Cardiaca della Società Europea di Cardiologia (ESC) e approvate
dalla Società Europea di Anestesiologia (ESA)

... in italiano.....



Lo so sono pigro......


Buona lettura

venerdì 17 agosto 2012

Ventilazione (come scegliere)


Meglio la ventilazione pressometrica o la volumetrica e come scegliere ?

Dal solito www.Ventilab.org una riflessione interessante. Siamo d'accordo???


Ventilazione a volume controllato o ventilazione a pressione controllata? Quale la migliore?



Spesso mi viene chiesto se è meglio utilizzare la ventilazione a pressione controllata o la ventilazione a volume controllato. Vediamo insieme cosa le differenzia per giungere ad una scelta consapevole.

Premetto che la cosa più importante è avere chiari gli obiettivi da raggiungere con la ventilazione: questi poi si possono raggiungere con qualunque modalità di ventilazione si consosca bene.

Come ben sappiamo, la pressione controllata applica una pressione costante nelle vie aeree per tutta la durata dell’inspirazione. Il risultato è un flusso inspiratorio che inizia con un picco e decresce durante l’inspirazione (fig. 1, a sinistra). Il volume controllato invece genera un flusso costante per tutta la durata dell’inspirazione e per ottenere ciò il ventilatore deve aumentare continuamente la pressione nelle vie aeree (fig. 1, a destra).



Figura 1.


Le differenze di pressione tra volume controllato e pressione controllata.
Prima conseguenza di questa diversa logica di funzionamento è la differenza nelle pressioni di picco. A volte questo viene presentato come un vantaggio della pressione controllata sul volume controllato, ma lo è davvero?

La pressione di picco è la somma di due pressioni: 1) la pressione che ci serve per generare il flusso più 2) la pressione che espande l’apparato respiratorio.

La pressione che genera il flusso è quella forza che spinge il gas inspirato attraverso tubo tracheale e vie aeree. Essa ha il proprio valore massimo all’inizio della branca inspiratoria e si riduce progressivamente fino ad annullarsi al termine delle vie aeree. Il suo valore dipende dall’entità del flusso e dalle resistenze.

Alla fine della inspirazione la pressione per generare flusso è più elevata in volume controllato che in pressione controllata: infatti in volume controllato abbiamo ancora un flusso più elevato (uguale a quello di tutta la fase inspiratoria) che in pressione controllata, che a fine inspirazione vede il flusso più o meno completamente annullato (fig 1).

La pressione per generare flusso non arriva negli alveoli ma si consuma lungo il tubo tracheale e le vie aeree. Non deve essere considerata come una pressione che può indurre danno polmonare indotto dalla ventilazione (VILI, ventilator-induced lung injury) .

Alla fine della inspirazione, a parità di volume corrente, avremo la stessa pressione negli alveoli sia in volume controllato che in pressione controllata. E questa pressione (indipendente dalla modalità di ventilazione) dipende unicamente da elastanza e volume corrente. Questa pressione può essere stimata facendo un’occlusione delle vie aeree alla fine della inspirazione: nella figura 2 vediamo sopvrapposte due curve di volume controllato (PCV) e pressione controllata (PCV) a parità di volume corrente. Si può notare come le pressioni di picco siano diverse tra loro, mentre le pressioni di plateau sono uguali tra di loro. Stesso plateau, stesso stress.



Figura 2.
Quindi pressione controllata e volume controllato hanno, a parità di volume corrente, lo stesso impatto sul danno polmonare, che in realtà è determinato solo da elastanza e volume corrente.  Non lasciamoci trarre in inganno dalla diversità delle pressioni di picco. Si potrebbero fare disquisizioni più approfondite per i polmoni caratterizzati da marcata disomogeneità, ma affronterò l’argomento solo se vedrò che può interessare ai lettori di ventilab.

La pressione controllata fa raggiungere inoltre valori di pressione media delle vie aeree più elevata del volume controllato, a meno che a quest’ultimo non si aggiunga un’opportuna pausa di fine inspirazione. E la pressione media delle vie aeree è correlata all’ossigenazione. Si può quindi dire che in pressione controllata è più semplice ottimizzare pressione media delle vie aeree e ossigenazione.


Le differenze di flusso tra volume controllato e pressione controllata.
Il volume controllato assicura l’erogazione di un predeterminato un flusso (e quindi un volume corrente), mentre il flusso che si genera in pressione controllata è variabile e dipende dalle variazioni della costante di tempo del paziente (cioè del rapporto tra resistenza ed elastanza). In alcuni casi può essere preferibile garantire un volume corrente costante: pensiamo ad esempio ai pazienti con trauma cranico ed ipertensione intracranica, dove la regolazione della PaCO2 è un obiettivo clinico importante. In altri casi può essere meglio limitare automaticamente le pressioni ed accettare variazioni del volume corrente, come ad esempio nei pazienti con ARDS ed elevate pressioni di plateau (o transpolmonari).

Un’altra differenza tra pressione controllata e volume controllato è la diversa distribuzione del flusso. Nella pressione controllata il flusso è elevato all’inizio dell’inspirazione, mentre nel volume controllato è uniforme per tutta l’inspirazione. Un elevato flusso inspiratorio iniziale favorisce la sincronia tra paziente e ventilatore se il paziente triggera gli atti respiratori. Quindi la pressione controllata ci può semplificare la sincronia paziente-ventilatore e la riduzione del lavoro respiratorio del paziente. Ovviamente anche un’oculata regolazione del volume controllato può raggiungere gli stessi obiettivi, ma sicuramente serve un occhio più esperto per gestire l’interazione paziente-ventilatore durante volume controllato (1,2).


Le ventilazioni a pressione controllata a target di volume.
Quasi tutti i ventilatori hanno forme di ventilazione che rientrano in questa categoria: PCV-VG (GE), PRVC o VGRP (Maquet, Siemens), AutoFlow (Draeger), ecc. In pratica sono normalissime ventilazioni a pressione controllata in cui però il ventilatore continua ad adeguare la pressione applicata per raggiungere un volume prefissato. Quindi le impostiamo come un volume controllato (a parte la pausa) ma funzionano come una pressione controllata: pressione inspiratoria costante e flusso inspiratorio decrescente. In maniera molto semplice aggiungiamo alla pressione controllata il vantaggio principale del volume controllato: il volume costante. Ovviamente le pressioni potranno aumentare o diminuire secondo le necessità.


Come scegliere tra volume controllato e pressione controllata.
Detto questo, mi sento di fare questa proposta nella scelta delle ventilazioni controllate ed assistite-controllate:

- scegliere di norma una ventilazione a pressione controllata a target di volume (PCV-VG, PRVC o VGRP, AutoFlow, ecc). E’ semplice da impostare ed unisce vantaggi di volume controllato e pressione controllata: garantisce il volume corrente, facilitando sincronia ed ossigenazione grazie al flusso decrescente. A questo punto bisogna solo scegliere il volume corrente ed il I:E giusti…

- quando abbiamo la necessità di limitare la pressione di plateau (esempio siamo già a 30 cmH2O di plateau), utilizzare la pressione controllata. Solitamente impostando PEEP e pressione controllata la cui somma non superi 31-32 cmH2O, ci si garantisce di rimanere sotto i 30 cmH2O di pressione di plateau. Meglio comunque verificare di caso in caso.


Bibliografia.

1) Chiumello D et al. Different modes of assisted ventilation in patients with acute respiratory failure. Eur Respir J 2002; 20: 925-33

2) Kallet RH et al. Work of breathing during lung-protective ventilation in patients with Acute Lung Injury and Acute Respiratory Distress Syndrome: a comparison between volume and pressure-regulated breathing modes. Respir Care 2005; 50:1623-31

martedì 14 agosto 2012

Cpk alle stelle... E' Sempre un problema?

Caso clinico

Viene ricoverata una paziente di 70 anni per un'intervento di protesi di anca.

In anamesi la paziente ha un intervento di colecistectomia, e un'intervento per safenectomia.
In terapia con difosfonati e vitamina d per osteoporosi (non fratture patologiche)
Met >4, Eo nella norma.
Viene visitata in ambulatorio per il prericovero (API).  Dagli esami ematici risulta un valore di cpk di 1028 UI/L. Creatinina 0,74 urea normale. Interrogata riferisce una caduta a terra (inciampata) qualche giorno prima.
Vengono richiesti nuovi dosaggi all'ingresso in reparto.
Al ricovero (dopo circa 1 mese) i nuovi esami sono nella norma, tranne le cpk che rimangono elevate (996 UI/L).
L'anestesista di guardia viene chiamato dal medico di reparto che si è accorto dell'anomalia per sapere se è idonea all'intervento o deve essere rimandato in attesa di ulteriori accertamenti.
La paziente viene nuovamente interrogata per indagare le eventuali cause dell'alterazione e:
1) La paziente presenta benessere assoluto con una vita attiva e senza problemi apparenti
2) L'esame neurologico (forza muscolare è normale e non presenta lividi)
3) L'anestesia per la colecistectomia è stata generale e risalente a circa 30 anni prima.
4) Non assume statine (grazie Teo)
5) Nessuna familiarità per malattie neuromuscolari ( e qui si che la domanda è lecita!)

Quindi? Che fareste se foste l'anestesista? (nuova rubrica della settimana enigmistica)

La creatinchinasi è un enzima di fondamentale importanza per il metabolismo cellulare, in quanto favorisce la formazione di ATP a partire da creatinfosfato e ADP, permettendo un rapido immagazzinamento di energia, mentre la reversibilità della stessa reazione consente un altrettanto rapido rilascio di energia.
La creatinchinasi è presente in tre forme diverse, definite isoenzima muscolare (CK-MM), isoenzima cardiaco (CK-MB) e isoenzima cerebrale (CK-BB) sulla base dell'organo in cui sono contenute in maggiore quantità 



CK MM
CK MB
CK BB
muscolo scheletrico
90%
10%
-
miocardio
60%
40%
-
cervello
-
-
Prevalente
utero
Prevalente

Piccole quantità
stomaco
-
-
Piccole quantità
intestino
-
-
Piccole quantità
prostata
-
-
Piccole quantità
polmone
-
-
Piccole quantità

I tre isoenzimi, pur catalizzando la stessa reazione e avendo affinità simile per il substrato, mostrano differenze sostanziali per quanto riguarda la composizione in aminoacidi, la stabilità al pH e al calore, la mobilità elettroforetica e le proprietà immunologiche.
I valori normali di CK nel siero sono 10-120 UI/L. Aumenti della creatinchinasi, con prevalenza dell'uno o dell'altro isoenzima,sono elencate qui di seguito

Aumenti transitori

  • Forzi fisici intensi, anche in persone allenate o atleti
  • Iniezioni intramuscolari
  • Traumi muscolari, interventi chirurgici, stati di ischemia muscolare
  • Ciclo mestruale e gravidanza
  • Iperpiressia
  • Sindrome di Reye
  • Assunzione di farmaci (per esempio acido acetilsalicilico, statine)
  • Embolia ed edema polmonare
  • Trauma cerebrale
  • Alcune malattie infettive (tetano, tifo)


Aumenti persistenti

  • Ipercreatininemie essenziali (anche in alcuni maschi di etnie nere)
  • Miastenie
  • Polimiosite e dermatomiosite
  • Distrofie muscolari
  • Malattie con manifestazioni convulsivanti (epilessia, tetano, alcolismo, specie cronico e con delirium tremens, in cui vi è distruzione di fibre muscolari)
  • alterazioni della funzionalità tiroidea
  • Emopatie con alterazione morfologica degli eritrociti
  • Alcune patologie tumorali (intestino, polmone, prostata)
  • Infarto cerebrale


Se il valore di CK è alto, in più misurazioni, senza che ricorrano le condizioni sopra elencate, si parla di ipercreatinchinasemia idiopatica o essenziale, termine invalso a partire dal 1980. In Italia alcuni studi hanno mostrato una frequenza di aumenti delle cpk ""essenziali" del 85%.
Fra le cause di aumento persistente di CK elencate si trova anche il sesso maschile e l'etnia nera (dove può raggiungere 500 UI/L). 
Invece quando si ritiene possibile la presenza di neuromiopatie o di miocardiopatie, non bisogna fermarsi ma è necessario procedere ad accertamenti di secondo livello, che comprendono:

Esame neurologico con valutazione della stenia secondo la scala proposta dal Medical Research Council
EMG
Test da sforzo con dosaggio dell'acido lattico e delle CPK
Dosaggio aminoacidi e acidi organici minori
Biopsia muscolare
Dosaggio del CK nei familiari

E l'Ipertermia maligna???

...questa è un'altra storia, e un altro post....


La discussione è aperta

Max

Kleppe B et al. Findings in 100 patients with idiopathic increase in serum creatine kinase activity. Medizinische Klinik 1995; 90: 623.
Pasquinelli F. Diagnostica e Tecniche di Laboratorio. Firenze: Bosini, 1985.
Prelle A et al. Le iperCPKemie: correlazioni clinico-metaboliche. Atti del congresso della Società dei neurologi e neurochirurghi ospedalieri: Trento 1998.
Prelle Aet al. Asymptomatic familial hyperCKemia associated with desmin accumulation in skeletal muscle. J.Neurol.Sci 1996; 140: 132.
Rowland LP et al. Approaches to the membrane theory of Duchenne muscolar dystrophy. In Angelini C et al. Muscolar dystrophy. Advances and new trends. Amsterdam: Excerpta Medica, 1980.
Tancredi L et al. Persistent hyperCkemia: findings in a large population of asymptomatic or paucisymptomatic patients. Atti del congresso dell'American academy of neurology. Toronto 1999.

domenica 12 agosto 2012

Regolazione del ventilatore


Una delle cose che spesso facciamo è di regolare la nostra ventilazione del paziente sulla base dell’Etco2. Ma siamo proprio sicuri che sia corretto?
Il post qui sotto (tratto da Ventilab.org che ringrazio) pone alcune riflessioni interessanti sul monitoraggio della EtCo2 in sala operatoria e in terapia intensiva.
Il monitoraggio di un paziente critico ci consente di acquisire numerose tracce da visualizzare sui monitor: pressioni invasive, ECG, pulsossimetria, monitoraggio neuromuscolare, EEG, capnografia, pressione, volume e flusso delle vie aeree, pressione esofagea, ….. A volte il numero di tracce è superiore alle possibilità di visualizzazione del monitor e dobbiamo scegliere quali vedere e quali togliere. Tra le tracce sempre presenti c’è la capnografia, mentre magari si rinuncia alle curve pressione-tempo e pressione-flusso del monitoraggio respiratorio. Infatti ormai la capnografia e il valore di CO2 di fine espirazione (end-tidal CO2, ETCO2) sono un cardine del monitoraggio del paziente critico.
Vale quindi la pena chiedersi quali siano le implicazioni cliniche di capnografia ed ETCO2 e come possano influire sulle nostre decisioni.
La capnografia può essere utilizzata sia come monitoraggio “generale” sia, in maniera più specifica, per la gestione della ventilazione meccanica. Proviamo ad esaminare separatamente questi aspetti.
Capnografia e ETCO2 nel monitoraggio generale del paziente.

- Conferma dell’intubazione tracheale. Inseriamo qui questo aspetto (e non nella ventilazione)  perchè, pur essendo legato alla ventilazione, ci fornisce una singola informazione iniziale e non ha poi più alcun impatto sulle scelte relative alla ventilazione meccanica. La capnografia ci può confermare se il tubo tracheale ha il proprio estremo distale nelle vie aeree. Infatti, se abbiamo posizionato correttamente il tubo tracheale, vedremo la regolare espirazione di CO2 ad ogni atto respiratorio. A questo proposito la capnografia riveste un ruolo importantissimo soprattutto nell’intubazione difficile. Penso che tutti abbiamo accolto con gioia una bella curva capnografica dopo un’intubazione disperata! Da ricordare che bisogna avere un po’ di pazienza: di norma la curva capnografica ha circa un paio di secondi di ritardo, quindi apparirà sul monitor con una breve latenza rispetto all’espirazione.
- Valutazione della funzione cardiocircolatoria. A parità di ventilazione, la CO2 espirata dipende dallaperfusione polmonare. Ne consegue che riduzioni della portata cardiaca (e quindi della perfusione polmonare) determinano immediate riduzioni della CO2 espirata. Da questo derivano un paio di rilevantiimplicazioni cliniche. Una rapida riduzione della ETCO2 ci suggerisce un calo della portata cardiaca, come in caso di embolia polmonare. Inoltre durante la rianimazione cardiopolmonare laETCO2 consente di valutare l’efficacia delle manovre rianimatorie: una ETCO2 < 10 mmHg  durante le manovre rianimatorie si associa infatti al mancato ripristino dell’attività cardiocircolatoria spontanea (1).

Capnografia e ETCO2 nel monitoraggio finalizzato alla gestione della ventilazione meccanica.

- Stima della PaCO2. Questo uso della capnometria è spesso sfruttato per decidere volume corrente efrequenza respiratoria. Tuttavia sembra un uso improprio perchè privo di razionale fisiologico e inantitesi con le osservazioni cliniche. La differenza tra PaCO2 ed ETCO2 dipende dalla presenza dimalattie polmonari, dall’impostazione della ventilazione meccanica e, come abbiamo visto prima, dallaperfusione polmonare. L’interazione tra queste variabili è complessa e quantitativamenteimprevedibile: anche in soggetti senza malattie polmonari preclude una stima della PaCO2 dallaETCO2 (2,3). L’esistenza di una correlazione tra PaCO2 ed ETCO2 non significa che dall’una si possa ricavare l’altra. Vediamo, ad esempio, dal grafico sottostante che pazienti con una ETCO2 di 35 mmHg possono avere PaCO2 tra 20 e oltre 50 mmHg (4): un’informazione veramente inutile nella pratica clinica! Mi sento pertanto di sconsigliare vivamente l’utilizzo della ETCO2 per guidare la ventilazione meccanica.

- Diagnosi di disomogeneità polmonare. La mancanza di plateau nella fase alveolare (tratto CD nell’immagine sottostante) indica disomogeneità polmonare, cioè la presenza di aree con differentecostante di tempo e differenti livelli di CO2. Questo dato è sicuramente interessante da un punto di vista fisiopatologico e  può farci capire meglio il paziente che abbiamo di fronte ma difficilemente si traduce in una variazione dell’impostazione della ventilazione. 


- Monitoraggio della paralisi muscolare ed interazione paziente-ventilatore. Il monitoraggio graficodella ventilazione meccanica con le curve flusso-tempo e pressione-tempo è assolutamente più preciso, accurato e specifico del capnogramma (opinione personale). Una buona conoscenza del monitoraggio grafico ci fornisce informazioni più precoci e complete rispetto al capnogramma, come abbiamo potuto più volte constatare nei post dedicati al monitoraggio grafico della ventilazione.
- Valutazione dello spazio morto. Per poter disporre di questo dato ci serve il monitoraggio volumetricodella CO2 espirata, che pochi ventilatori e monitor ci offrono. Esso differisce da quello tradizionale perchè sull’asse delle ascisse il volume prende il posto del tempo (vedi figura qui sotto).
E’ noto che la frazione di spazio morto è un predittore di outcome nei pazienti con ALI/ARDS (5-7), tuttavia non ci aiuta a trovare l’impostazione migliore della ventilazione meccanica (8,9). In altre parole, ci dà informazioni sulla gravità ma non sulla terapia.

Conclusioni.
Questo breve spazio consente solo di accennare sinteticamente al meraviglioso mondo della capnografia. Penso che però possa essere sufficiente per giungere ad alcune conclusioni pratiche:
- la ETCO2 è importante per la conferma dell‘intubazione tracheale;
- rapide riduzioni di ETCO2, a ventilazione costante, indicano riduzioni della portata cardiaca;
- durante la rianimazione cardiopolmonare ETCO2 < 10 mmHg ci devono indurre ad ottimizzare, se possibile, le manovre rianimatorie;
- ETCO2 e capnometria non hanno alcuna utilità pratica nella scelta dell’impostazione della ventilazione meccanica.
In definitiva, la capnografia rivolge il proprio sguardo principalmente alla funzione cardiocircolatoria che a quella ventilatoria.
Bibliografia.
1) Neumar RW et al. Adult advanced cardiovascular life support: 2010 American Heart Association guidelines for cardiopulmonary resuscitation and emergency cardiovascular care. Circulation 2010; 122:s729-67
2) Nunn JF et al. Respiratory dead space and arterial to end-tidal CO2 tension difference in anesthetized man. J Appl Physiol 1960; 15: 383-9
3) Russell GB et al. The arterial to end-tidal carbon dioxide difference in neurosurgical patients during craniotomy. Anesth Analg 1995; 81:806-10
4) Yosefy C et al. End tidal carbon dioxide as a predictor of the arterial pco2 in the emergency department setting. Emerg Med J 2004; 21:557-9
5) Nuckton TJ et al. Pulmonary dead-space fraction as a risk factor for death in the acute respiratory distress syndrome. N Engl J Med 2002;346:1281-6
6) Lucangelo Uet al. Prognostic value of diff erent dead space indices in mechanically ventilated patients with acute lung injury and ARDS. Chest 2008; 133:62-71
7) Cepkova M et al. Pulmonary dead space fraction and pulmonary artery systolic pressure as early predictors of clinical outcome in acute lung injury. Chest 2007; 132;836-42
’8) Blanch L et al. Volumetric capnography in patients with acute lung injury: effects of positive end-expiratory pressure. Eur Respir J 1999; 13: 1048-54
9) Beydon L et al. Effects of positive end-expiratory pressure on dead space and its partitions in acute lung injury. Intensive Care Med 2002; 28:1239–45